Dossier Agenda 2030/ La guerra del greggio (seconda parte) (13)

    Questo dossier fa parte degli approfondimenti dedicati all’Agenda 2030 e analizza il target 7: Energia pulita e accessibile.

    Il petrolio è uno degli elementi fondamentali per determinare gli assetti geopolitici internazionali. E’ al centro tra l’altro della crisi che ormai da settimane ha rifatto risalire la tensione nel Golfo Persico, una delle più importanti rotte mondiali del traffico di greggio. In questo dossier proseguiamo quindi l’analisi iniziata con il precedente  portando altri elementi utili ad inquadrare il tema.

    Di seguito analizzeremo l’Opec e l’Opec Plus, non nelle proprie prerogative e nei principi, ma dal punto di vista delle scosse interne, il ruolo delle riserve petroliere statunitensi, lo stretto di Hormuz con alcuni dati chiave e la Libia come caso di studio di guerra odierna e che utilizza anche l’elemento petrolio per inasprire il conflitto.

    Qui la prima uscita del dossier ‘La guerra del greggio’

    Scosse nell’Opec

    All’interno dell’Opec non mancano i dissapori. La relazione tra la Russia (leader di Opec Plus, vedi precedente dossier) e l’Arabia Saudita ha creato non poche scosse. L’Arabia Saudita è accusata di unilateralismo per la prassi di concordare, circa dal 2016, con Mosca le politiche produttive, scavalcando di fatto le prerogative dell’Opec. L’asse Riad-Mosca ha provocato e provoca malumori nell’organizzazione, soprattutto da parte iraniana.

    Durante l’incontro a Vienna del luglio 2019 nel quale è stata decisa la pratica dei tagli alla produzione di petrolio che proseguirà fino a marzo 2020, il ministro iraniano Bijan Zanganeh ha avvertito che con questa condotta “l’Opec potrebbe morire”. Zanganeh aveva infatti chiarito la sua posizione, denunciando la crescente marginalizzazione dell’Opec da parte di Arabia Saudita e Russia

    Il caso Libia

    Nell’analisi del greggio e di come questo sia ancora fondamentale per la definizione degli assetti internazionali non può mancare il caso Libia. Il 22 settembre 2019, infatti, è stato emesso dall’ambasciata statunitense in Libia un comunicato congiunto con Francia, Germania, Italia, Turchia, Regno Unito e Emirati Arabi per richiedere la stabilità e il mantenimento di terzietà della Noc, la National Oil Corporation, la compagnia libica statale del petrolio.

    “Supportiamo – si legge – pienamente la Noc come unica compagnia petrolifera indipendente, legittima e non-partisan del Paese. Ora è il momento di consolidare le istituzioni economiche nazionali anziché dividerle. Per motivi di stabilità politica ed economica della Libia e per il benessere di tutti i suoi cittadini, sosteniamo esclusivamente la Noc e il suo ruolo cruciale a nome di tutti i cittadini della Libia”.

    Nel settembre 2019 Haftar, il cosiddetto ‘uomo forte’ nella Cirenaica aveva lanciato l’ipotesi di creare un consiglio di amministrazione indipendente per la Brega Petroleum Marketing Company, la compagnia controllata dalla Noc. L’idea di Haftar che stava dietro la richiesta di “maggiori forniture di carburante nella regione orientale” era un metodo con cui tentava di mettersi in proprio nella vendita di petrolio.

    Chi fa cosa
    Il Brent e il Wti

    Il petrolio cambia a differenza del profilo geologico da cui viene estratto, mutando le caratteristiche chimiche della miscela di idrocarburi che li compongono. La tipologia di greggio denominata ‘Brent’ viene estratta nel mare del Nord, mentre il Wti (West Texas Intermediate) nel Sud degli Stati Uniti.

    Entrambi rappresentano i principali panieri presi come riferimento dagli investitori e gli speculatori di tutto il mondo. Il Brent è il più scambiato nel mondo. Entrambe hanno buone qualità e sono, con la raffinazione, facili da trasformare in benzina e gasolio.

    Negli ultimi anni gli Stati Uniti hanno investito molto nell’estrazione delle due varietà di petrolio, incrementando la propria produzione in maniera significativa. Aumentando l’offerta il prezzo dei due è per questo calato e hanno fatto sì che gli Stati Uniti, da grandi importatori di petrolio, siano diventati anche esportatori.

    Focus 1
    Il prezzo sale ma non troppo

    Dopo gli attacchi al petrolio dell’Arabia Saudita il prezzo del greggio non è salito come ci si aspettava. Uno dei motivi, che annunciavamo anche nel precedente dossier, sono le riserve degli Stati Uniti. Gli Usa detengono infatti grosse riserve di due tipologie di greggio (il Brent e il Wti) che, immesso nel mercato, riesce a calmierare i prezzi (vedi Chi fa cosa).

    Lo stesso Fatih Birol, direttore dell’Agenzia internazionale dell’energia (Iea), dopo l’attacco agli impianti sauditi si era detto tranquillo perché il mercato petrolifero era fornito e non c’era bisogno di ricorrere a scorte di emergenza. Birol aveva infatti annunciato che le riserve di emergenza delle agenzie governative di tutto il mondo ammontano a circa 1,55 miliardi di barili, ovvero circa 15 giorni di domanda globale.

    Focus 2
    Hormuz: alcuni dati

    Lo stretto di Hormuz è un imbuto di appena 21 miglia di larghezza da cui passa un quinto delle esportazioni di petrolio del mondo. Nel 2019, circa 19,5 milioni di barili al giorno di condensati grezzi e di gas naturale (utilizzati nella produzione di olio pesante) sono transitati per lo stretto. Con un consumo globale di petrolio di circa 100 milioni di barili al giorno, significa quasi un quinto del petrolio mondiale passa di qui.

    Lo stretto si compone di due corridoi, uno per le navi in uscita e uno per quelle in entrata dove le petroliere si sorpassano come auto in autostrada. Per passare attraverso lo stretto, le navi devono navigare attraverso le acque territoriali di Oman e Iran. È infatti di particolare importanza per l’Iran in quanto è la principale via di esportazione del petrolio e quindi cruciale per la loro economia. Anche se nel mondo esistono altri stretti dal passaggio obbligato, come il Canale di Suez in Egitto (5,5 milioni di barili) e lo Stretto di Malacca tra la Malesia e Sumatra (16 milioni) Hormuz è di gran lunga il più importante.

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