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Dossier Agenda 2030/ Il clima che cambia sull’Himalaya (22)

Questo dossier fa parte degli approfondimenti dedicati all’Agenda 2030 e analizza il target 13: lotta contro il cambiamento climatico.

L’Asia meridionale e orientale è, come ha potuto tristemente verificare a più riprese, vulnerabile ai disastri naturali e per questo ‘produttrice’ di milioni di rifugiati climatici.

La situazione climatica amplifica, di conseguenza, i conflitti regionali e le contese militari su risorse divenute sempre più preziose come il cibo e l’acqua.

In questo dossier analizzeremo, tramite il rapporto ‘The Hindu Kush Himalaya Assessment. Mountains, Climate Change, Sustainability and People’ la situazione di una delle macroregioni fondamentali per la salute del Pianeta.

Acqua ed energia: tanto ricchi ma così poveri

L’area è ricca di risorse idriche ma non tutti i cittadini ne possono usufruire allo stesso modo. L’accesso all’acqua potabile in Pakistan è del 48%, nonostante disponga di una disponibilità di risorse idriche doppia rispetto all’Afghanistan. Quest’ultimo, infatti, dopo 40 anni di conflitto ininterrotto ha un accesso alle risorse idriche del 50%. In Cina si arriva all’89%, mentre in Myanmar la percentuale è del 71. La migliore posizione è poi quella del Bhutan con un 92%.

Queste differenze sono da considerare quantomeno strane dal momento che queste popolazioni, secondo gli studiosi, abitano la stessa macroregione, un’enorme catena montuosa affacciata su pianure desertiche o alluvionali, distese secche o paludose a volte inondate da una ingente quantità d’acqua.

Sull’area c’è poi da analizzare la questione del basso accesso all’elettricità e la forte dipendenza dai combustibili solidi tradizionali per la cucina e il riscaldamento domestici: segni distintivi della povertà dell’area. Secondo gli studiosi, infatti, la mancanza di accesso a energia pulita e sicura comporta un pesante tributo alla salute, impedisce anche lo sviluppo e rafforza la povertà.

La previsione al 2100

Il rapporto fa alcune previsioni, quasi tutte molto preoccupanti. Secondo gli studiosi, se le emissioni globali di gas serra non diminuiranno, entro il 2100 i ghiacciai che occupano la catena montuosa himalayana si ridurranno di due terzi. E anche se la riduzione di gas serra ci sarà, un terzo dei ghiacciai diminuirà comunque entro la fine del secolo.

Nonostante le realtà agricole e urbane molto diverse, secondo il testo, gli otto Paesi sono collegati da una complessa rete di ecosistemi, fiumi, biodiversità, centinaia di picchi sopra i 6mila metri, e risorse naturali cruciali. La regione ospita infatti dieci grandi bacini fluviali che dai nevai himalayani si alimentano.

Chi fa cosa
Il progetto Himap

Lo studio fa parte di un progetto molto ambizioso: l’Hindu Kush Himalayan Monitoring and Assessment Programme’s (Himap), il cui obiettivo è individuare le risposte scientifiche ma soprattutto politiche per fare in modo che ‘la conoscenza si trasformi in azione’. Il suo staff è di circa 350 persone tra tecnici, scienziati, ricercatori.

Lo studio mira “a disegnare il significato globale dell’Hkh, ridurre l’incertezza scientifica sulle questioni montane, presentare soluzioni pratiche e aggiornate e offrire nuovi spunti per lo sviluppo della regione, valorizzare e conservare gli ecosistemi, le culture, le società esistenti, i legami, la conoscenza e le soluzioni specifiche dell’Hkh che sono però importanti anche per il resto del mondo, mettere sul piatto politiche da adottare, influenzare i processi decisionali fornendo solide prove”.

Focus 1
La macroregione e il rapporto

The Hindu Kush Himalaya Assessment. Mountains, Climate Change, Sustainability and People è una ricerca su cambiamenti climatici, globalizzazione, movimento di popolazioni, conflitti e degrado ambientale nella macroregione.

L’area dell’Hindu Kush-Himalaya, che prende il nome dalle due grandi dorsali che iniziano dopo l’altipiano iranico per perdersi verso il Mar Cinese Orientale, comprende otto Paesi: Afghanistan, Pakistan, India, Cina, Myanmar, Bhutan, Nepal e Bangladesh.

Il rapporto è stato redatto da un consorzio di centri di ricerca e un team di studiosi, non solo del clima. Lo studio cerca di stabilire la condizione di un’area lunga 3.500 chilometri abitata da 240 milioni di persone (sia nelle aree collinari sia in quelle di montagna) e un miliardo e 650 milioni che abitano i bacini fluviali a valle. In totale la popolazione dell’area corrisponde a più di un quarto di quella mondiale.

L’obiettivo dello studio è di creare materiale di lavoro per il Panel on Climate Change (Ipcc) e individuare rischi e risorse di un’area conosciuta soprattutto da scalatori e geografi ma mai studiata nella sua complessità.

Focus 2
Il Terzo Polo

Le vette dell’Himalaya sono un vasto magazzino di acqua in forma congelata, con la più grande concentrazione di ghiaccio al mondo al di fuori della regione polare. Il cosiddetto “terzo polo” fornisce infatti l’acqua da cui 1,3 miliardi di persone dipendono.

Il riscaldamento globale in Himalaya è superiore alla media del Pianeta. Secondo gli studiosi “il cambiamento climatico contribuisce anche alla frequenza e all’entità degli eventi meteorologici estremi e dei pericoli naturali. Le piogge non stagionali possono portare a inondazioni e distruggere le colture; piovere troppo poco può anche significare un fallimento delle colture e avere conseguenze di vasta portata sull’economia e sulla vita delle persone. Il cambiamento dell’habitat ha un impatto sulla fauna selvatica, sulle condizioni agricole e di pascolo, sulle risorse naturali dal legname alle erbe medicinali e sulla sopravvivenza di una ricca varietà di culture uniche”.

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